Diritto alle armi: i fronti aperti in Europa
Non solo Repubblica Ceca: in questo momento sono almeno cinque i Paesi in cui sono aperti importanti fronti per la preservazione del diritto alle armi. Vediamo di cosa si tratta in una rapida carrellata
Non si è ancora smesso di parlare dell'approvazione della nuova direttiva europea sulle armi – di fatto molti Paesi, tra cui l'Italia, ancora neppure hanno iniziato l'iter di recepimento – e già si parla dell'apertura di nuovi fronti per la tutela dei diritti dei cittadini europei che legalmente detengono armi da fuoco per gli scopi legittimi più svariati, per evitare che il recepimento porti in alcuni Paesi all'implementazione di quelle norme troppo punitive che lo stesso Parlamento Europeo ha voluto bocciare.
Al momento sono almeno cinque i Paesi membri dell'UE in cui "si muove qualcosa", non sempre in maniera positiva. La rete europea di Firearms United – di cui GUNSweek.com è Media Partner – ci ha segnalato le situazioni più "calde" ed importanti su cui è necessario tenere alta l'attenzione.
Repubblica Ceca e Polonia ricorrono alla Corte Europea di Giustizia
Come annunciato nei mesi scorsi, la Repubblica Ceca ha presentato ricorso presso la Corte di Europea Giustizia avverso alla nuova direttiva UE sulle armi, che il governo di Praga giudica – e giustamente! – non solo eccessivamente punitiva per i comuni cittadini, ma totalmente inappropriata a fronteggiare l'emergenza legata all'uso di armi illegali nel compimento di azioni criminali e terroristiche, e soprattutto partorita al termine di un iter approvativo costellato di irregolarità.
Ebbene, la rete di Firearms United ha annunciato nelle scorse ore l'entrata in campo della Polonia, che con un documento ufficiale datato 6 ottobre ma reso pubblico solo oggi ha dichiarato di associarsi al ricorso della Repubblica Ceca.
E non solo: il governo polacco ha ufficialmente chiesto che l'implementazione della direttiva in tutt'Europa venga sospesa fino al pronunciamento della Corte Europea di Giustizia. La stessa richiesta fu fatta dal governo ceco in sede di presentazione del ricorso, ma fu respinta.
Stando al documento ufficiale polacco come tradotto in italiano, la nuova direttiva europea sarebbe "basata su assunti errati e manca di prove a sostegno della correlazione tra il mercato e il possesso legale di alcuni tipi di armi da fuoco da parte dei cittadini europei, e il mercato illegale collegato ad attività criminali. Come risultato di ciò, le nuove normative si rivelano essere eccessive, troppo severe e non sempre razionali."
La Corte Europea di Giustizia potrebbe impiegare fino ad un anno prima di giungere a sentenza. Ciò significa che, se la mozione polacca per una sospensiva non dovesse essere approvata, i Paesi europei dovranno comunque procedere al recepimento salvo poi trovarsi ad avere leggi nazionali basate su una direttiva europea annullata dalla Corte.
In tal caso, tuttavia, i paladini del diritto alle armi nei diversi Stati membri avrebbero meno difficoltà nell'ottenere l'abrogazione di leggi non più giustificabili con il diritto comunitario.
Svezia, Norvegia e Svizzera: guai in vista tra la neve
Uno dei casi più importanti attinenti ai diritti dei legittimi possessori d'armi è attualmente in corso presso l'alta corte amministrativa svedese, e riguarda la vicenda di un tiratore – che ha preferito rimanere anonimo – a cui la Polizia svedese ha negato la licenza necessaria all'acquisto di due fucili di derivazione AR-15 per l'impiego al poligono.
In Svezia è necessaria una licenza separata per ogni singola arma acquistata, e da tempo la Polizia del Paese considerato faro della democrazia e della trasparenza in tutto l'occidente ha assunto una posizione decisamente antiarmi.
Un suo esponente d'alto livello, Peter Thorsell, nel corso delle discussioni in sede europea sulla direttiva armi è intervenuto più volte in qualità di esperto per sostenere la necessità di mettere al bando certi tipi di armi, caricatori, e persino accessori, col Placet del Ministro degli Interni di Stoccolma – Anders Ygeman – che gli ha permesso di eccedere il mandato del Parlamento svedese al riguardo.
Lo stesso Ygeman è stato recentemente destituito in seguito ad uno scandalo, ma Peter Thorsell continua a portare alta la bandiera disarmista. Non ci stupisce, dunque, ritrovarlo coinvolto anche in questa vicenda come redattore dei documenti con cui la Polizia svedese sostiene la sua posizione in tribunale.
Il ricorso del tiratore, stando all'avvocato Sebastian Scheiman che lo rappresenta, è giustificato dal fatto che la Polizia svedese si sarebbe abbassata a compiere numerose irregolarità pur di negare tale licenza. In Svezia, infatti, è la Polizia a decidere quali poligoni di tiro possono rilasciare ai tiratori un documento necessario poi a richiedere le licenze d'armi.
Essenzialmente, in Svezia prima di acquistare un'arma da fuoco è necessario ottenere una certificazione dal proprio poligono in cui esso dichiara che l'arma o le armi che si desidera acquistare possono essere utilizzate all'interno del poligono stesso per una pratica di tiro regolamentare.
In questo caso, apparentemente, la Polizia avrebbe esercitato pressioni sul poligono stesso e sulla federazione nazionale di tiro pur di far cambiare i regolamenti interni e fare in modo che le armi per le quali il tiratore in questione chiedeva apposita licenza non fossero più riconosciute come regolamentari.
L'idea che la Polizia svedese sia arrivata a rimestare nel torbido a tali livelli solo ed esclusivamente per impedire il rilascio di una singola licenza sembrerebbe a prima vista paradossale ed esagerata, e potrebbe far gridare al complottismo... ma non lo è, come ci è stato spiegato dall'avvocato Schieman.
Poiché, infatti, in Svezia non esiste una Corte Costituzionale e la Polizia ha ampia discrezionalità nella concessione delle licenze d'armi, se il tiratore perdesse la causa, la Polizia si ritroverebbe nella situazione di poter decidere arbitrariamente per quali tipi di armi concedere licenze e per quali no, di fatto aggirando la legge e realizzando quel "Ban" delle armi semi-automatiche moderne (o "d'impostazione militare" che dir si voglia) che da tempo cerca.
È questo il motivo che ha portato la rete di Firearms United ad interessarsi direttamente del caso.
A dover adottare la direttiva europea sulle armi sono anche quei Paesi che, pur non essendo membri dell'Unione Europea, fanno parte dell'area di libero scambio di Schengen. E tra questi c'è la Norvegia, che ha annunciato che nell'ambito dell'adozione intende imporre le restrizioni inizialmente suggerite dalla Commissione e che il governo di Oslo stesso ha più volte tentato di implementare dai tempi della strage di Utøya: la messa al bando totale delle armi lunghe semi-automatiche anche solo vagamente basate su armi militari.
In base a quanto annunciato dal governo norvegese – che ancora una volta ha usato la tragedia di Utøya come giustificazione! – le armi facenti parte della Categoria B7 saranno disponibili solo ai collezionisti e ai tiratori sportivi certificati d'alto livello. Resta da capire come si farà a diventare "tiratori d'alto livello", in particolar modo in certe discipline, se non si avrà accesso alle armi adeguate ad allenarsi.
Insomma, la messa al bando delle armi di Cat.B7 in Norvegia finirà, nel giro di una generazione o forse meno, per portare all'estinzione intere discipline di tiro in uno dei Paesi considerati più democratici al mondo.
In quanto Paese dell'area Schengen, anche la Svizzera – faro in Europa occidentale per il diritto alle armi! – dovrà recepire la direttiva europea.
Per ora il Consiglio Federale ha previsto un recepimento "soft", ma ciò non significa affatto che i cittadini svizzeri siano contenti: dalla PRO-TELL e da tutte le altre associazioni ed organizzazioni che hanno a cuore il diritto alle armi del popolo elvetico si è avuta una prevedibile levata di scudi, col lancio di un'iniziativa nazionale d'opposizione che potrebbe portare, in caso di restrizioni, ad un referendum per l'abrogazione o addirittura per l'uscita della Confederazione Elvetica dall'area Schengen.
Spagna: quel pasticciaccio brutto di Cantabrico Militaria
Cantabrico Militaria è un'armeria spagnola – con sede a Getxo, nei Paesi Baschi – che negli scorsi mesi è stata protagonista di un'intricata vicenda ancora non del tutto conclusa, segnalataci da ANARMA, l'associazione spagnola facente parte del Network di Firearms United nonché di FESAC, la federazione europea dei collezionisti d'armi.
All'inizio di quest'anno, un Raid presso i locali dell'armeria condotto dalla Polizia Nazionale Spagnola (CNP) in collaborazione con EUROPOL ha portato al sequestro di centinaia di migliaia di armi da fuoco che, con gran fanfara mediatica, sono state identificate come "destinate al mercato nero". Accusati di traffico illegale d'armi, i titolari di Cantabrico Militaria sono stati successivamente scagionati senza la stessa attenzione da parte dei Mass Media.
Il motivo? Tutte le armi non solo erano legali, ma disattivate. La Cantabrico Militaria aveva acquistato dei lotti di armi dismesse dall'Esercito spagnolo e le aveva disattivate per la vendita ai collezionisti salvo poi doverle tenere in magazzino in attesa del recepimento del nuovo regolamento di disattivazione europeo del tardo 2015.
In seguito alla caduta di tutte le accuse – tranne quella relativa al possesso di un macchinario per la realizzazione di punzoni – la Cantabrico Militaria ha richiesto più volte la restituzione delle armi, ma la Polizia nazionale Spagnola ha sempre rifiutato.
Nel corso dell'estate, in un incontro con alcuni quadri della Guardia Civil, i vertici della Cantabrico Militaria hanno avuto conferma del fatto che l'operazione contro di loro nient'altro è stato se non una "operazione di Marketing" della Polizia, portata avanti con l'EUROPOL senza prove e senza risultati, solo per ottenere supporto alle proposte restrittive in sede UE.
E ancora, mentre i tribunali spagnoli si litigano la giurisdizione del caso e la Polizia spagnola rifiuta di consegnare le armi alla Guardia Civil per non subire l'onta di vederle restituite ai legittimi proprietari, Cantabrico Militaria resta intrappolata in una situazione kafkiana. E le armi, spesso pezzi da collezione senza prezzo, restano chiuse in alcuni container fuori Bilbao senza alcuna protezione dai furti e dalla ruggine.
Regno Unito: di male in peggio
È già stata fissata la data per l'uscita definitiva del Regno Unito dall'Unione Europea – il 29 marzo 2019 – e difficilmente il Regno Unito vorrà impegnarsi ad implementare la direttiva UE sulle armi, confusa e sotto molti punti di vista inapplicabile; ma ciò non significa che Londra abbia deciso che il suo Gun Control, uno dei più rigidi e disastrosi del mondo, sia sufficiente.
A lanciare l'allarme è ancora una volta un'associazione facente parte del Network di Firearms United: in questo caso, parliamo di Firearms UK.
Incapace di accettare il fallimento delle sue politiche disarmiste, che hanno portato il Regno Unito ad essere il Paese più violento d'Europa, lo Home Office (il Ministero dell'Interno di Londra) ha presentato una proposta che intende portare alla messa al bando totale delle armi in calibro .50 BMG – che, se a ripetizione manuale, nel Regno Unito sono legali per il tiro Long Range – e delle armi basate sul sistema di funzionamento MARS o Lever Release.
Questi sono fucili semi-automatici convertiti ad un peculiare sistema a colpo singolo: ad ogni colpo l'otturatore resta in apertura ed è necessario premere di nuovo il grilletto o attivare manualmente lo Hold Open prima di sparare un altro colpo.
La giustificazione addotta per questo nuovo giro di vite – per il quale è stata lanciata anche una consultazione pubblica – è la solita: si tratta di armi che potrebbero essere rubate e finire in mano a criminali e terroristi.
Proprio come fanno gli antiarmi in America, il governo britannico sostiene che i fucili calibro .50 per il tiro a lunga gittata impiegherebbero "munizioni perforanti", e all'inizio di novembre un sito specializzato ha scoperto che un ministro del governo britannico ha deliberatamente mentito al Parlamento al riguardo.
Più in generale, la messa al bando riguarderebbe anche tutte le armi da fuoco che esprimono un'energia alla volata superiore ai 13550 Joule.
Ma lo Home Office di Londra sta cercando di imporre nuove restrizioni anche sulle armi antiche: finora, infatti, pistole e fucili in calibri obsoleti sono rimaste esenti dalle draconiane leggi disarmiste britanniche.
Restiamo in attesa di sapere dal governo di Theresa May come mai, a loro giudizio, un terrorista o un criminale dovrebbe essere interessato ad un fucile calibro .50 che è impossibile da trasportare comodamente e da nascondere, o da un'arma a colpo singolo, o da una pistola in calibro antico, quando il mercato nero britannico pullula di armi illegali ben più moderne.
Ma siamo sicuri che, una volta confiscate armi da migliaia di sterline ai legittimi proprietari, il Regno Unito sarà al sicuro? Proprio come l'ultima volta...?