Uberti Winchester 1866 "Yellowboy": i 150 anni di un fucile leggendario
Uberti celebra con una nuova replica il 150mo anniversario del leggendario Winchester 1866 “Yellowboy”, il fucile che conquistò il West americano. Ripercorriamo brevemente le tappe salienti che portarono al suo sviluppo
Siamo abituati a dire che il mondo sia diventato più piccolo con il passar del tempo, e forse è anche vero, ma nel caso della ristretta cerchia di progettisti di armi americani del XIX secolo, nel 1866 il mondo era ancora più piccolo.
Ma volendo iniziare dal principio, il mondo era piccolo già nel 1855, quando un certo Horace Smith si mise in società con un tale Daniel B. Wesson per fondare la Volcanic Repeating Arms Company e dedicarsi allo sviluppo di un promettente progetto: il “proiettile razzo” (Rocket Ball) brevettato da Walter Hunt, prolifico inventore newyorkese alla cui mente dobbiamo anche la moderna macchina per cucire e la spilla da balia.
Come la spilla da balia, il proiettile razzo era una semplice idea nata per eliminare alcune limitazioni tipiche delle fragili cartucce di carta del tempo, ma avrebbe poi influenzato la progettazione di tutte le armi da fuoco.
Una palla Minié con una cavità ingrandita era riempita di polvere e sigillata con una capsula innescante. Questi proiettili compatti erano così solidi, paragonati alla cartuccia di carta, da poter essere caricati in un serbatoio tubolare e alimentati in un'arma a ripetizione uno dopo l'altro tramite un'apposita leva.
Quest'arma era la Volcanic Repeater dell'eponima ditta, e funzionava in base al primo meccanismo a ripetizione diverso da principio del revolver ad essere usato estesamente (ed era la prima arma da fuoco a ripetizione a munizionamento senza bossolo).
Il principio era interessante, e la compagnia acquisì nuovi investitori, tra cui un uomo d'affari di Boston, attivo nel settore tessile, proprietario di opifici a New York e a New Haven, nel Connecticut. Il suo nome era Oliver Winchester.
Sfortunatamente il proiettile razzo soffriva di un difetto fatale: sebbene il principio su cui si basava fosse solido, la cavità poteva contenere solo una ridotta quantità di polvere nera. Così ridotta, in effetti, che le prestazioni balistiche erano nell'ambito dei 70-80 joule… inferiori persino a quelle di un moderno calibro .22 o 6,35 sparati da una pistola da tasca.
Questo pose fine alla Volcanic Repeater e Horace Smith e Daniel Wesson lasciarono per formare la Smith & Wesson. Ma Oliver Winchester non era tipo da farsi scoraggiare tanto facilmente: la munizione poteva anche essere fiacca, ma il sistema a ripetizione Volcanic era eccezionale, qualcosa di mai visto prima ed estremamente promettente.
Winchester spostò la produzione a New Haven, creando la New Haven Arms Company e, con l'aiuto di Benjamin Tyler Henry, un talentuoso armaiolo del New Hampshire, modificò il fucile Volcanic per funzionare con una cartuccia metallica progettata appositamente: il .44 Henry a percussione anulare (in omaggio a Henry, da allora le cartucce rimfire Winchester sono a tutt'oggi marchiate con una H maiuscola sul fondello).
Brevettato nel 1860, il fucile Henry fu un immediato successo, divenendo popolare tra gli scout unionisti e le unità schermagliatrici della Guerra Civile Americana, guadagnandosi la definizione di “fucile yankee che carichi la domenica e spara tutta la settimana”, assegnata dagli stupefatti confederati armati di moschetti ad avancarica.
Il fucile aveva una canna rigata in acciaio, sotto la quale stava il serbatoio tubolare. Questo veniva caricato frontalmente, comprimendone la molla verso la volata, finché il suo tubetto d'alloggiamento poteva essere ruotato, liberando la bocca del serbatoio. Le cartucce venivano inserite, il tubetto riportato in posizione e la molla lasciata libera.
Canna e serbatoio erano solidali a un castello che è stato descritto come realizzato sia in bronzo sia in ottone. La realtà è che entrambe le descrizioni sono corrette ed errate allo stesso tempo: il bronzo è tipicamente una lega di rame e stagno, l'ottone di rame e zinco, mentre il castello dell'Henry era realizzato in un metallo chiamato “Gun Metal” (metallo per cannoni), una lega di rame, stagno e zinco dalle proprietà meccaniche rimarchevoli: facile da fondere in stampi e lavorare, robusto, tenace e così resistente all'ossidazione da essere ancora oggi impiegato per valvole e componentistica idraulica.
Il cuore del meccanismo è un otturatore a ginocchiello.
Abbassando la leva, il ginocchiello meccanico si flette, l'otturatore viene arretrato e il bossolo vuoto portato in linea con la finestra d'espulsione superiore. Abbassando ulteriormente la leva un blocchetto porta cartuccia sollevava un colpo carico di fronte alla culatta, espellendo il bossolo scarico (l'otturatore infatti non ha un espulsore).
La meccanica del fucile Henry venne trasportata sostanzialmente intoccata nel progetto del nuovo modello 1866, che vedete in azione nelle due fotografie qui affianco.
Risollevando la leva veniva camerato il colpo mentre il blocchetto si abbassava a ricevere una cartuccia nuova dal serbatoio tubolare.
Al ritorno della leva in battuta il ginocchiello riguadagnava la posizione rettilinea, bloccando solidamente l'otturatore in chiusura e l'arma era nuovamente pronta al fuoco.
Questo ciclo di riarmo era talmente affidabile da funzionare regolarmente anche ad arma capovolta.
Sebbene meno robusto di altri sistemi di chiusura che lo seguiranno, come quello del Winchester 94, la meccanica dell'Henry era più che sovrabbondante per la debole cartuccia impiegata ed era straordinariamente fluida nell'azionamento.
Nonostante il suo successo, l'Henry aveva diverse pecche. Prima di tutto, non aveva alcuna sicura: con un colpo camerato, o si teneva il cane abbattuto sul percussore, a sua volta appoggiato direttamente sull'innesco a percussione anulare, oppure si teneva il cane armato, pronto ad abbattersi. L'unico modo sicuro di portare l'arma era con la camera di cartuccia vuota.
In teoria l'arma poteva anche sparare fuori batteria. Successivi modelli Winchester avrebbero adottato una sicura che bloccava il grilletto se la leva non era saldamente premuta contro l'impugnatura.
Infine, il procedimento di ricarica era complicato (impossibile stando a cavallo) e il serbatoio tubolare poco affidabile, dato che detriti potevano entrare dalla fessura del guidamolla e il serbatoio stesso, poggiando il fucile contro superfici dure, poteva ammaccarsi, inceppandosi.
Al termine della Guerra Civile, Oliver Winchester aveva un'idea piuttosto chiara su cosa andare a sistemare in un nuovo modello, che finalmente arrivò nel 1866.
Winchester integrò uno sportellino di caricamento sul lato destro dell'arma, così che le cartucce potessero essere inserite nel serbatoio una dopo l'altra in modo sicuro anche a cavallo, e il serbatoio stesso fu ridisegnato, protetto dall'ingresso di corpi estranei e dotato di astina in legno per proteggere il serbatoio dagli urti e la mano del tiratore dal calore.
Venne modificata anche la cartuccia, passando da un bossolo di rame a uno d'ottone, consentendo di sopportare pressioni maggiori. Curiosamente, di nuovo Winchester non ritenne utile dotare l’arma di una mezza monta di sicurezza.
Oliver Winchester rinominò la compagnia Winchester Repeating Arms: così nacque il Winchester 66, soprannominato “Yellow Boy” per il colore del castello, destinato a diventare una delle armi più significative della storia.
Questi sono i fatti principali che portarono alla realizzazione del Winchester 1866, segnando la nascita di una delle armi (e aziende) fra le più influenti nella storia delle armi da fuoco.
Se l'Henry era stato un successo, il Winchester 1866 spopolò, rimanendo in produzione fino al 1898, anni dopo l'introduzione di modelli come il 1873 e il 1894.
Le vendite furono impressionanti per l'epoca: l'Impero Ottomano da solo ne acquistò 45.000 e li usò nella guerra russo-turca con tale efficacia che i russi prontamente abbandonarono i loro Berdan per adottare un fucile che sarebbe a sua volta diventato leggenda: il Mosin Nagant. Era davvero un mondo piccolo.
Il Winchester 1866 è ancora un'arma efficace e interessante, sia per i tiratori di Cowboy Action Shooting sia per gli appassionati di film western che per chiunque voglia possedere uno dei fucili più iconici della storia armiera.
Fortunatamente chi voglia possederne uno non deve cercare un esemplare d’epoca, dato che alle aste il '66 spunta cifre stratosferiche, anche se non elevate quanto quelli di un Henry originale.
La cartuccia a percussione anulare .44 Henry “Flat” non è più disponibile da quasi un secolo, ma l'Uberti 1866 è disponibile in svariati calibri, dal .22 Long Rifle al .38 Special, .44 Special, .44 WCF (.44/40) e .45 Colt. Si possono avere canne da 16” 1/8, 18” e 19” per la versione carabina, una versione fucile corto con canna da 20” e un fucile con canna da 24” ¼.
La più classica in assoluto delle armi a leva. Dovrei dare una valutazione oggettiva e asettica, ma imbracciando questo fucile è impossibile non sentire i 150 anni di storia che porta con sè, e immergersi in un mondo immaginario fatto di decine di western. Ritengo sia giusto citarlo, perché è parte integrante del suo fascino senza tempo.
Per il resto, è un Winchester ‘66: l’azione è fluidissima e fulminea, la canna tonda la rende più leggera in volata di altri modelli a canna ottagonale e l’arma è equilibrata e le mire vengono all’occhio con una naturalezza assoluta. Si può spendere un milione di parole sul concetto di calciatura dritta e sullo scaricare le forze di rinculo in linea, ma chi ha pensato l’angolo di calcio del Winchester 66 sapeva esattamente cosa stava facendo, in termini di maneggevolezza e prontezza di puntamento.
Le finiture sono ottime. Non solo le superfici sono tirate senza la minima incertezza, ma le scritte sono impresse nettamente, ben profonde e con gli stessi eleganti caratteri degli originali, risultando una parte integrante dell’estetica dell’arma. Anche i legni sono ben scelti e il colore si sposa perfettamente con quello del castello.
Tutte le armi possono essere ordinate con finitura standard, invecchiata, charcoal blue o premium, con legni selezionati con finitura a olio realizzata a mano. E… sì, la moderna replica Uberti è dotata di mezza monta di sicurezza sul cane.
Per cui, come dice il motto Uberti, la storia si ripete. Migliorando.