Donald Trump Presidente USA: quali prospettive per l'industria armiera?
SHOT Show 2017 - L'ultimo giorno dello SHOT Show di Las Vegas ha coinciso con l'inizio della presidenza Trump; quali prospettive si aprono per l'industria delle armi civili e sportive negli Stati Uniti, e quali per l'ìndustria europea?
Lo SHOT Show del 2017 – il trentanovesimo nella storia della manifestazione – si è chiuso lo scorso 20 gennaio al Sands Expo & Convention Center in un clima positivo, di grandi speranze e prospettive per il mercato delle armi civili sportive, venatorie e difensive.
Con 65.000 partecipanti tra espositori e visitatori, lo SHOT Show di quest'anno è stato il secondo più grande di sempre; tra le migliaia di prodotti esposti da 1600 compagnie, oltre 500 erano novità offerte da 338 aziende esordienti.
In occasione del suo discorso sullo stato dell'industria, tenuto in occasione della cena di gala del 17 gennaio, Steve Sanetti – presidente della NSSF, l'equivalente statunitense dell'ANPAM – ha espresso tutta la sua "Nuova speranza":
«La nostra speranza è che quando si arriverà al momento di aiutare a fermare l'uso illegale di armi da fuoco da parte dei criminali ed impedire che esse finiscano nelle mani di delinquenti, degli psicopatici violenti e degli spacciatori di droga che terrorizzano gli abitanti disarmati delle nostre città, l'opinione pubblica americana possa comprendere che siamo tutti dalla stessa parte.»
E a difendere a spada tratta il diritto dei cittadini americani onesti e mentalmente sani a possedere e portare armi c'è anche Donald John Trump, che proprio il giorno della chiusura dello SHOT Show ha prestato giuramento e si è insediato quale 45mo Presidente degli Stati Uniti d'America.
Per l'occasione, lo SHOT Show si è letteralmente fermato: la cerimonia di giuramento e il discorso d'insediamento di Donald Trump è stato proiettato sui maxischermi presenti in quasi tutti gli stand più grandi. L'accoglienza del magnate da parte dei partecipanti allo SHOT Show è stata mista; a parte la religiosa attenzione tipica degli americani nei confronti di tutte le occasioni ufficiali a cui partecipi un Presidente – tanto più un insediamento! – si è assistito a scene di applausi a scena aperta e commenti entusiastici in alcuni stand, e di applausi timidi e di circostanza in altri.
Anche il mondo delle armi, insomma, è diviso tra chi ha votato Donald Trump con convinzione e chi invece l'ha votato turandosi il naso per impedire che alla Casa Bianca l'antiarmi Barack Obama venisse sostituito dall'antiarmi Hillary Clinton.
Ma se per i prossimi quattro anni il mercato statunitense delle armi da fuoco civile sarà libero dalla spada di Damocle di restrizioni arbitrarie a danno dei cittadini onesti, potrebbe non essere tutta l'industria armiera a giovarne.
Già nel suo discorso d'insediamento, infatti, Trump ha fatto cenno a quello che sarà uno dei pilastri della sua politica economica: il protezionismo. Le aziende americane saranno incoraggiate a produrre localmente e non a delocalizzare, e i beni importati saranno sottoposti a dazi – fatti salvi eventuali accordi commerciali bilaterali che Trump intende stringere individualmente con diversi Paesi, in un evidente tentativo di spaccare il fronte di "poli" quali ad esempio l'Unione Europea. Gli accordi non favorevoli agli USA, come il TTP, saranno annullati.
Pare dunque evidente come l'industria armiera statunitense potrebbe risultare avvantaggiata, assieme a quelle compagnie internazionali che hanno già stabilito fabbriche e sedi distaccate negli Stati Uniti. Ma basterà questo? Forse, ma forse no. Finché non sarà chiaro quale sarà il livello di protezionismo che Trump vorrà adottare, non è detto che per i prodotti dell'industria armiera europea continuerà ad essere così facile competere sul mercato statunitense.
E allora tanti nodi verranno al pettine: la disparità tra le grandi aziende che avranno potuto aprire impianti negli USA e quelle medie e piccole che non si possono né si potranno permettere tale investimento; la compressione del mercato europeo, causata da leggi restrittive accumulatesi nel corso degli anni (e che rischiano di diventare ancor più rigide!) che l'industria armiera europea non ha osteggiato perché più interessata al mercato d'oltreoceano; e la scarsa conoscenza da parte del pubblico (da entrambe le sponde dell'Atlantico!) dei prodotti dell'industria, che soprattutto in alcuni Paesi – Italia inclusa – nicchia in quanto ad investimenti per l'innovazione e la comunicazione perché "i prodotti classici si vendono da soli".
La situazione che si delinea è simile a quella che ha portato Beretta a perdere la gara per la nuova pistola d'ordinanza dell'Esercito USA a favore della SIG Sauer, un'azienda che ormai da lungo tempo ha spostato negli Stati Uniti la quasi totalità della sua produzione civile e tutta la sua produzione militare, e che da sempre ha un approccio molto diverso nei confronti della comunicazione commerciale.
Paradossalmente, l'elezione di un Presidente deciso a difendere il Secondo emendamento negli Stati Uniti potrebbe rivelarsi un disastro per il comparto armiero europeo. E allora, le grida manzoniane di chi nel corso degli ultimi decenni ha cercato di spingere l'industria armiera del nostro continente a cambiare corso – rimanendo sempre inascoltato – torneranno in mente a chi guarderà indietro e dovrà ammettere l'irreparabilità degli errori commessi.