Condannato chi offende i cacciatori!
Il Tribunale di Roma ha emesso il 7 luglio un'interessante sentenza di condanna nei confronti del leader dell'associazione "100 per cento animalisti", reo di aver pronunciato in radio parole ingiuriose nei confronti della categoria dei cacciatori: si apre una nuova frontiera nella tutela dell'immagine di tutti i legali detentori di armi?
Siamo forse alla vigilia di una nuova stagione, in Italia, in fatto di protezione legale dell'immagine e della rispettabilità delle categorie sociali dei cacciatori, dei tiratori sportivi, e dei possessori d'armi in generale? È presto per dirlo, ma in base alla sentenza del Tribunale di Roma emessa il 7 luglio, c'è di che ben sperare.
L'ordinanza ha infatti condannato Paolo Mocavero – leader della nota organizzazione 100 per cento animalisti – al risarcimento dei danni per le affermazioni ingiuriose e lesive da lui rivolte alla categoria dei cacciatori nel corso della trasmissione radiofonica La Zanzara, trasmessa da Radio 24, nel marzo del 2020.
La causa civile nei suoi confronti era stata promossa dalle associazioni di categoria Federcaccia, Enalcaccia e ANUU Migratoristi, nelle persone dei rispettivi presidenti – Massimo Buconi, Lamberto Cardia e Marco Castellani – patrocinati dall’avvocato Alberto Maria Bruni.
La sentenza è estremamente articolata, e il comunicato-stampa congiunto delle associazioni sottolinea che "Pur riconoscendo il diritto di informazione e di critica (anche con toni coloriti), tuttavia afferma che mai possono tollerarsi aggressioni verbali che si trasformano in veri e propri attacchi che travalicano il tema controverso e assumono la forma del turpiloquio nei confronti di singoli cittadini ovvero di categorie quali i cacciatori".
La sentenza è d'importanza fondamentale, perché – laddove essa non fosse ribaltata nelle sue motivazioni in un eventuale processo d'appello – stabilisce un rilevante precedente in fatto di protezione legale dell'immagine delle categorie sociali dei cacciatori, dei tiratori e dei legali detentori di armi in generale, e in fatto di rappresentatività delle associazioni di categoria.
Come ben sappiamo, la diffamazione – reato previsto dall'Articolo 595 del Codice Penale – in Italia non è prevista ai danni di intere categorie sociali, ma solo di persone fisiche o giuridiche; e la legge prevede che solo i diretti interessati possano sporgere querela di parte perché essa venga perseguita.
Se, dunque, il Codice Penale italiano non prevede che la diffamazione nei confronti di intere categorie sociali sia un reato, la sentenza del Tribunale di Roma stabilisce che tale comportamento possa essere perseguito, e punito con una condanna al risarcimento dei danni, in sede civile; e stabilisce, altresì, che in tal caso possano essere rappresentative, e dunque portare avanti la causa, le associazioni delle categorie pubblicamente colpite dall'insulto o dal comportamento diffamatorio.
E se agli antiarmi e agli anticaccia di professione poco importa, eventualmente, di una condanna penale per il reato di diffamazione – che, se dovuta ad attacchi sferrati nei confronti della nostra comunità, essi arrivano addirittura a considerare distintivo di vanto! – molto diverso è se per il privilegio di insultarci essi debbano arrivare a sborsare soldi.
Ancor più importante sarebbe se a subire lo stesso destino possano essere i giornalisti e le testate che, spesso solo per motivazioni di carattere ideologico e politico, danno eco alle posizioni disarmiste e anti-caccia senza alcun genere di contraddittorio e senza riguardo per l'onorabilità di quelle categorie sociali che già nel 2018 venivano indicate senza alcun dubbio, e col massimo rigore scientifico, come le più affidabili d'Italia da una ricerca dell'Università La Sapienza di Roma.
Da noi raggiunto per un commento nella giornata di ieri, venerdì 8 luglio, Giulio Magnani – Presidente di UNARMI - Unione degli Armigeri Italiani – ha dichiarato che il team legale dell'associazione è al lavoro per studiare il dispositivo di condanna emesso dal Tribunale di Roma, al fine di valutare se esso costituisca una valida base su cui imperniare, in futuro, azioni civili a difesa dell'onorabilità di altre categorie di legali detentori di armi in Italia, dai tiratori sportivi ai collezionisti.
Il processo non sarà probabilmente breve, né così diretto come tutti noi vorremmo sperare; ma è certo che, qualora si ravvisassero i presupposti affinché la decisione del Tribunale di Roma possa far da trampolino di lancio a questa nuova strategia, chi fino ad oggi si sbizzarrisce senza tema di conseguenze ad etichettare tutti i legali detentori di armi quali fanatici, estremisti, potenziali assassini, potenziali terroristi o membri di gruppi armati, dovrà in futuro imparare a dosare le parole o pagarne il prezzo – e così anche coloro che a queste ingiurie fanno da megafono sui Media tradizionali.